Il numero dell’Espresso attualmente in edicola contiene uno speciale su ecologia e rinnovabili. Anche senza correre in edicola consiglio l’attenta lettura dell’articolo online “Giardino Europa“.
Cosa si evidenzia, di interessante per noi, in questo articolo?
Vediamo insieme di puntualizzarne i contenuti:
La comunità Europea punta fortemente sulle rinnovabili (l’Italia attualmente no)
“… nel 2007 il 19,8 per cento dell’energia elettrica consumata nel Paese iberico veniva dai parchi eolici. Con questa cifra l’anno scorso, in Spagna, il vento ha superato l’atomo. “Le energie rinnovabili possono contribuire da subito alla lotta al cambiamento climatico, mentre per il nucleare ci vogliono almeno 10-15 anni e investimenti estremamente più alti per costruire una centrale”, spiega una fonte della Commissione europea.”
A differenza di quanto vogliono farci credere qui, la lotta al cambiamento climatico è possibile ora con le tecnologie di cui disponiamo largamente e soprattutto lavorando localmente.
Infatti:
Gli investimenti in energie “verdi” restano sul posto e creano lavoro
“Ma l’energia verde non è solo competitiva con l’atomo, lo è in generale. “È molto semplice”, spiega un’altra fonte dell’esecutivo comunitario, “se costruiamo un gasdotto diamo il denaro direttamente alla Russia, all’Algeria, all’Arabia Saudita, se costruiamo un parco eolico gli investimenti restano in Spagna, Danimarca e in Germania”. Paesi non citati a caso, sono i primi tre nello sfruttare il vento in Europa.”
Anche dal punto di vista economico, pur non essendo grandi opere, viene rilevata la forte positività di un’economia “verde” ed in tempi di palese recessione non è poco.
Un secondo vantaggio viene dalle dimensioni delle imprese coinvolte nelle rinnovabili:
- La gestione della “rivoluzione verde” è in mano a piccole e medie imprese
“A gestire questa rivoluzione verde sono una serie di piccole e medie imprese, le prime sorte in Germania e Svizzera negli anni Settanta ed Ottanta per rispettare gli obiettivi sulla decontaminazione e sul trattamento dei rifiuti. Da lì, l’attenzione è passata sulle rinnovabili grazie all’impulso dato a questo settore ancora dai governi di questi due paesi, poi dagli scandinavi, quindi dalla Spagna e ora da Francia e Regno Unito. Noi mangiamo la polvere. “L’Italia”, spiega Ferran Tarradellas, portavoce del commissario all’Energia Andris Piebalgs, “ha un potenziale enorme che non viene sfruttato. Potrebbe creare industria e occupazione in un settore destinato a generare una domanda fortissima nei prossimi anni”.
Dove lo Stato è in grado di incentivare veramente l’innovazione le imprese (quelle vere, non i colossi immobili) si ingegnano a creare mercato e lavoro.
I vantaggi?
“… già adesso non sono comunque pochi. Secondo uno studio pubblicato a luglio dal ministero dell’Ambiente tedesco, per ogni euro investito nelle energie rinnovabili si risparmiano 1,6 euro in importazioni di gas o petrolio e in danni causati all’ambiente. E oltretutto gli euro investiti nel verde creano posti di lavoro…”
Ma, come fanno notare quelli del Consiglio Europeo Energie rinnovabili (l’associazione di categoria) in realtà la lotta è tra la struttura industriale “antica” (l’attuale Confindustria) ed una nuova, più snella e veloce nel vedere il mercato nell’innovazione verde.
“Per Turmes il futuro è chiaramente verde. “L’intero comparto dell’ecotecnologia”, sostiene, “può creare 3-5 milioni di posti di lavoro da qui al 2020, sfruttando il volano degli investimenti pubblici”.”
Si tratta ovviamente di crederci (nell’eco-tecnologia) e di volere effettivamente traghettare il paese in un futuro eco-compatibile e più vivibile.
Anche perchè di lavoro ce ne sarebbe da fare, infatti entrambe le filiere (solare ed eolica) qui da noi non sono complete mancando proprio chi produce le celle ed i generatori eolici…
“Grandi attese. Peccato che di quei 75 miliardi di investimenti, molti potrebbero volare all’estero. Entrambe le filiere industriali, sia per l’eolico che per il solare, da noi sono monche. A monte, manca chi produce pale e celle, ossia gli strumenti per raccogliere vento e sole. L’Italia non ha un’industria di pale eoliche: l’89 per cento del mercato è dominato dalla danese Vestas, dalla spagnola Gamesa e dalla tedesca Enercon. Le imprese che producono celle, invece, dalle nostre parti si contano sulle dita di una mano: Eni, Solsonica, XGroup, Helios Technology più l’ultima arrivata, Omniasolar. La loro quota del nostro mercato è minima, appena il 10-15 per cento. Pigmei, rispetto alla berlinese Q-Cells o alla Sharp. Poche di più quelle che producono i pannelli: secondo il Gruppo imprese fotovoltaiche italiane, una ventina (incluse le suddette cinque).
In questa situazione gli incentivi offerti dall’Italia per il solare (i più allettanti d’Europa) fanno di noi un appetibile terra di conquista.”
..ci sarebbe posto quindi anche per la grande industria, volendo.
Questione di scelte insomma, quelle che da noi pare nessuno voglia prendersi la responsabilità di prendere.
Noi qui all’I.T.I.S. “Einstein”, nel nostro piccolo con il perfezionamento Energetico-Ambientale, l’abbiamo fatto.
E le previsioni al 2020 sembrerebbero darci ragione…
😉
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